La riforma Dini segue la riforma del 1992 di Treu e Ciampi, e costituisce il progetto di riforma pensionistica più importante di questi anni. Considerando il basso tasso di natalità esistente, la riforma Dini ha lo scopo di rafforzare il sistema pensionistico italiano, con l’obiettivo di garantire una pensione anche alle generazioni future. |
La novità più rilevante, consiste nella modalità di calcolo della pensione. Prima del 1995, essa si calcolava in relazione alla media (in genere intorno al 70%), dello stipendio riscosso negli ultimi 10 anni. La riforma Dini, invece, calcola la pensione sulla base dei contributi versati; ne consegue un taglio di circa il 50% delle precedenti pensioni. Per chi alla data della riforma avesse cumulato almeno 18 anni di contributi, vale un sistema “misto”, che stabilisce un calcolo pensionistico per il 50% basato sui contributi versati e per il restante 50% basato sul proprio reddito. Con riferimento all’età, invece si prevedono 35 anni di contributi e una fascia tra 57 e 65 anni.
Attraverso un meccanismo di incentivi, il contribuente può scegliere se aumentare la propria età lavorativa: a 65 anni si percepisce la pensione piena, a 67 anni la pensione piena più un premio. In aggiunta, più si rimane a lavorare più alta sarà la pensione, dato che la pensione viene calcolata sull’ammontare rivalutato dei contributi.
La riforma Dini, prevede anche:
- bonus per i lavori usuranti (affinché i lavoratori abbiano un accesso anticipato alla pensione);
- la graduale abolizione delle pensioni di anzianità;
- uno specifico settore dell’Inps riservato ai lavoratori indipendenti e autonomi privi del normale sistema previdenziale.